Profumo di casa

Casa non è sempre un posto fisico, a volte è una sensazione, che ci riporta tra le braccia di chi non possiamo più raggiungere. Se Natale ha un senso, allora per me è quello di avere la possibilità di stare con chi si ama.

Profumo di casa

Per quanto mi riguarda c’è un unico modo di intendere il Natale, e cioè l’occasione per stare con coloro che amiamo.
Che siano la famiglia istituzionale, o coloro che “sentiamo” essere famiglia.
Penso spesso in questi giorni, al Natale, alla famiglia, soprattutto sento la mancanza di mia madre. Questo sarà il secondo Natale senza di lei che, negli ultimi anni aveva maturato una vera e propria passione per gli addobbi natalizi, più erano luminosi e rumorosi, più li amava.
Mettendo via le sue cose, abbiamo trovato con le mie sorelle, talmente tanti addobbi da poter tranquillamente assortire un villaggio di Babbo Natale.
Si dice che il tempo curi ogni cosa, forse come ho già avuto modo di dire, questo tempo “covid” che si contrae e si espande senza un ordine preciso, non cura granché.
Allora, mi è venuto in mente che una delle sensazioni più belle quando tornavo a casa, era il profumo della biancheria di mia madre. Una volta sotto le coperte venivo abbracciata da un profumo, che negli anni ho sempre associato e tuttora associo a lei, al ritorno a casa.
Così ho fatto mente locale su quale detersivi usasse, (solitamente io acquisto solo detersivi eco) e qualche giorno fa sono andata in un negozio e l’ ho comprato.
Ho lavato le lenzuola, le ho stirate come faceva lei, e la sera sono andata a letto piena di speranze, ho chiuso gli occhi e per un momento è stato come essere a casa da lei.
Buon Natale mamma, sono a casa.

La foto l’ho trovata sul web, ma mamma aveva delle lenzuola simili…

Silenzi

“Prego, fornire generalità: nome?”
“Pedra”
“Nome, prego?”
“P.”
“Sesso?”
“F.”
“Occhi?”
“Due, e parlano troppo”
“Segni particolari?”
“Acida”
“Acida come?”
“Verde acida”
Ecco fatto, alla fine è arrivato il momento in cui sono all’angolo, il momento in cui non posso eludere le mie domande.
In questi giorni sono davvero acida, tanto.
Lo nascondo bene.
Sono molto infastidita, ma più che infastidita sono “disappointed”.
Lo sono, accidenti se lo sono.
E poiché mi conosco, conosco la mia capacità  che ha quasi del fantascientifico, di parlare come se facessi parte di un coro a cappella, di tirare fuori una raffica di parole, di colpire dalla testa ai piedi, come se fossi un temporale estivo, che ti coglie di sorpresa e ti lascia fradicio senza avere il tempo di rendertene conto, sto tacendo.
Parlo pochissimo, mi esprimo a monosillabi, solo se non posso evitarlo.
Devo raccogliere le idee, capire, capirmi.
Non immaginavo potesse essere così difficile, scegliere le parole da non dire.
Questo non è il momento dei chiarimenti, anche nelle amicizie più profonde, capitano periodi così.
Un insieme di fattori, situazioni, circostanze, un unico risultato.
Non sono in pace, non sono lucida, non sono lungimirante.
Invece di parlare, canto, canto tanto, tutto il giorno anche a lavoro.
Canticchio frasi di canzonette leggere, continuamente.
E poi, vado a correre tutti i giorni.
Torno a casa dopo il lavoro, tolgo il tacco, aspetto che arrivi il volgere della sera e vado a correre.
E mentre corro, molti pezzi di questo puzzle trovano il loro posto, ma ci sono ancora troppi buchi, mancano ancora troppi pezzi.
Non riesco a vedere il quadro di insieme.
Canto, corro e non parlo.
Questo è uno di quei momenti in cui vorrei, vorrei infinitamente, parlare con mio padre.
Vorrei, anche solo, poter sentire la sua voce.
Allora chiudo gli occhi, e mi sembra di sentirlo pronunciare quel nomignolo, quello che solo lui usava per me.
Ascolto, non parlo, con lui non ce n’è bisogno.
Lui saprebbe che è solo un temporale estivo, tanto rumore per nulla, pochi minuti che sembra la fine del mondo e poi, torna a splendere il sole.
Lui lo saprebbe.